di Antonio Maglietta
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venerdì 23 gennaio 2009
Giovedì scorso è stato siglato a Palazzo Chigi uno storico accordo quadro sulla riforma della contrattazione collettiva; una svolta che si attendeva da tempo visto che l'ultimo accordo in materia era del 1993. L'accordo prevede alcune novità importanti: un nuovo modello contrattuale comune, valido sia per il settore privato che per quello pubblico; l'addio al tasso di inflazione programmata imposto dal governo e l'arrivo dell'indice di inflazione previsionale che dovrà essere definito da un istituto terzo ancora da individuare; il passaggio da due a tre anni della durata dei contratti; incentivi strutturali alla contrattazione di secondo livello con la clausola che i lavoratori che non godono di questo tipo di contrattazione potranno comunque fare affidamento su elementi economici di garanzia nella misura e alle condizioni concordate nei contratti nazionali; gli incentivi al lavoro pubblico dovranno essere dati compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica (il calcolo delle risorse sarà demandato ai ministeri competenti previa concertazione con le organizzazioni sindacali); nuove regole sulla rappresentatività sindacale, limitatamente alle aziende di servizi pubblici locali.
L'accordo quadro è stato firmato da 25 sigle (mancano per ora all'appello l'Ania, l'Abi e la Lega delle cooperative, che si riservano di firmare dopo un approfondimento). L'unica che ha risposto con un niet è stata la solita Cgil. Peccato per il no, come ha sottolineato anche il ministro Sacconi, ma, come ha detto il ministro Brunetta, nessuno ha il diritto di veto. Giusto.
E' evidente che con 25 sigle firmatarie dell'accordo, e con la Cgil unico sindacato confederale a dire no, Epifani e i suoi uomini continuano a rimanere chiusi in un isolamento che essi stessi stanno costruendo con le loro decisioni. Va quindi rispedita al mittente l'accusa di alcuni esponenti del Pd che imputano all'azione del Governo l'isolamento della Cgil. E' il sindacato rosso che si mette fuori dal mondo con i suoi ripetuti no e con il suo arroccamento ideologico sulle tematiche del lavoro. Il progresso non si può certo fermare per un no della Cgil. Anche perché va bene non mettere una firma su un documento, ma cosa farà la Cgil per rendere ancora più esplicito il suo dissenso? Dirà no ai rinnovi contrattuali? Per ora il sindacato rosso ha detto no al rinnovo del contratto dei ministeri e della scuola, per il biennio economico 2008-2009, ma certo non per una strategia anti accordo-quadro ma per questioni economiche specifiche riguardanti le dinamiche salariali dei due citati comparti.
Sui motivi del no all'accordo-quadro, Epifani ha solo fatto sapere che «il governo ha forzato in direzione di un accordo che sapeva non avrebbe avuto il consenso della Cgil» e che il suo sindacato vuole esaminare il testo completo che dovrà uscire dall'integrazione tra il documento sulla contrattazione nel settore privato con le specificità del comparto pubblico. Più loquace è stato il segretario generale della Fp-Cgil, Carlo Podda, secondo cui «l'accordo di Palazzo Chigi sulla riforma del modello contrattuale colpisce fortemente il lavoro pubblico e rappresenta una diminuzione programmata della retribuzione e del potere contrattuale dei lavoratori». Con tutto il rispetto possibile per le posizioni di Podda, l'introduzione dell'indice di inflazione previsionale rappresenta un salto di qualità positivo nelle dinamiche salariali a tutto vantaggio dei lavoratori che finalmente non si vedranno imporre la scure del tasso di inflazione programmato che comprimeva gli incrementi salariali in maniera dirigista. Se a questo aggiungiamo che diventeranno strutturali gli incentivi alla contrattazione decentrata, e cioè a quella più legata alla produzione, diventa chiaro che la novità positiva dell'accordo è proprio quella di riuscire a coniugare il più possibile incrementi salariali e produttività.
Dal punto di vista più strettamente politico, invece, la Cgil esce da quest'ultima trattativa sempre più isolata. Anche il Partito Democratico, salvo qualche voce che ha messo in risalto più la mancata unità sindacale invece che attaccare l'accordo nel suo complesso (e non poteva essere altrimenti visto che parte del Pd vede di buon occhio più la strategia di Cisl e Uil che quella del sindacato di Epifani), sembra aver mollato gli ormeggi e lasciato la Cgil alla deriva.
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