In questo nostro tempo confuso si farà sentire la mancanza della lucida intelligenza di Gianni Baget Bozzo. In particolare mi mancheranno i suoi consigli, le telefonate affettuose e i suoi scritti che spesso mi aprivano nuovi orizzonti e sempre mi conducevano a ripensare i difficili percorsi della politica italiana. Sono certo che la sua scomparsa abbia lasciato un vuoto anche per il presidente Berlusconi, al quale don Gianni dedicava ogni pensiero e ogni ansia della sua esistenza. In una stagione rassegnata alla frammentarietà e alle divisioni, don Gianni ha difeso con la forza della ragione il valore fondamentale degli ideali cristiani. Per lui la politica si richiama alla storia di grandi eventi che si rifanno a principi ideali e rendono la politica una battaglia di idee. Per questo ritengo che la sua eredità culturale sia racchiusa nel mistero che unisce fede religiosa, battaglia ideale e confronto politico. Per questo abbiamo deciso, d'intesa con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, di dedicare il tradizionale appuntamento di Gubbio proprio a don Gianni. Per Baget Bozzo il linguaggio cristiano custodisce ed esprime ideali che la politica non può ignorare, nel senso che la ragione deve saper ascoltare quanto promana della tradizione evangelica. Per don Gianni il cattolicesimo è una tradizione «in cui l'eternità tocca il tempo e nel momento in cui lo tocca lo assume e gli dà una sua dimensione». Per questo è difficile ritenere evento del tutto fortuito che la democrazia sia nata e si sia sviluppata in Occidente. Da qui lo stimolo a porsi domande sul rapporto stretto fra democrazia e cristianesimo, sul nesso, che ancor oggi ci interpella, che scaturisce dal Vangelo non solo come codice celeste, ma anche come portatore di una speranza per la giustizia terrena, così come ci richiama la nuova enciclica di Benedetto XVI. Secondo Giuliano Ferrara la fede per don Gianni «era la fonte d'ispirazione dalla quale sgorgavano le cascate copiose del suo pensiero, un pensiero sempre alimentato dalla curiosità per gli accadimenti, che, secondo la sua filosofia di vita, erano sempre illuminati dalla luce celeste». Anche Massimo Cacciari ricorda la sua «fede agonica» vissuta come molla per pensare l'umano, la sua ricerca escatologica sulla «cosa ultima» sempre intrecciata, ma sempre eccedente rispetto alle sue passioni e scelte politiche. La fede, infatti, ha ispirato tutte le sue battaglie e gli ha consentito di intravedere oltre l'immediatezza del reale. L'impegno culturale e politico di Baget Bozzo avviene alla luce della metafisica aristotelico-tomista, con san Tommaso suo «perenne maestro». È col Concilio Vaticano II che la Chiesa attraversa un momento difficile, in cui comincia il rigetto della metafisica e il rifiuto di San Tommaso come canone aureo della teologia. La parola «solidarietà» diviene lo specifico del cristianesimo, determinato non dalla fede, ma da una prassi sociale che viene giustificata in nome della carità. Baget sente che nel mondo vi è un pericolo per la Chiesa, un pericolo che viene dal suo interno. Comprende che nasce un'immagine della Chiesa interamente immanente alla storia. Ciò è legato ad una secolarizzazione della Chiesa per cui l'eguaglianza sociale è il compito storico che la società umana deve compiere per progredire. Il fine della Chiesa non è più la salvezza delle anime, ma la realizzazione dell'eguaglianza sociale degli uomini. Questa visione cambia il modo in cui la Chiesa post-conciliare vede il comunismo. «La fine dell'anticomunismo della Chiesa fu sancito da Giovanni XIII nella Pacem in Terris, in cui si distingueva tra errore ed errante, quindi tra comunismo e comunisti. La via era aperta al compromesso, perché si assumeva che i cattolici e i comunisti perseguissero in forme diverse il medesimo fine dell'eguaglianza sociale e che i comunisti dovevano capire che la Chiesa cattolica non era più un'antitesi, ma un volontario compagno di strada» (Lettera a un Vescovo su Chiesa e Occidente). Gli anni Sessanta e Settanta sono anni in cui viene praticata la secolarizzazione della Chiesa. Sparite le certezze della ragione astratta, che ha governato il Novecento, finisce l'idea di una storia unitaria del mondo proprio nel momento in cui esso si organizza come unità economica e istituzionale. Il mondo laico occidentale, che sul razionalismo è vissuto, sente profondamente questa crisi come la fine di una stagione del pensiero: l'incertezza e la problematicità prendono il posto occupato dalle certezze della ragione. Per don Gianni il razionalismo occidentale è il grande mito collettivo di considerare la dimensione sociale e la sua storia come l'unica dimensione dell'uomo. Al contrario il cristiano deve comprendere che «la storia ha un limite, che non è fatta per diventare il paradiso sulla terra, che la rivoluzione è fallita e che l'idea politica fondamentale su cui si fonda l'ordine creato è l'idea di limite». Occorre abolire l'idea di rivoluzione ed evitare l'illusione dell'uomo onnipotente prospettato dal comunismo. La fine del comunismo è la fine del «principio Utopia», e quindi della violenza sulla realtà in nome dell'idea. Si manifesta in questo modo l'insufficienza della società a contenere in sé le esigenze del singolo. Riemerge la dimensione spirituale dell'uomo, anche indipendentemente dalla memoria cristiana e dalla confessione religiosa. «Il passato riapparve come fondamento dell'identità, dopo che, con la fine dell'utopia, non lo poteva più essere il futuro. E anzi il futuro divenne il luogo dell'incertezza, il luogo in cui l'identità avrebbe potuto essere perduta. Caduta la storia razionalista come principio identificante della società, non rimase altro fondamento possibile, per la comprensione di un ordine della storia, che un ordine trascendente, in qualunque forma esso si ponesse». Solo la religione può sostituire l'ideologia perduta. Il nichilismo stesso può essere visto «non solo come alternativa alla religione, ma anche come il vuoto che prepara la domanda religiosa» (L'intreccio. Cattolici e comunisti 1945-2004). Caduta la convinzione di possedere il futuro e di trarre da esso il giusto criterio di comportamento, solo un orizzonte trascendente gli eventi può consentire un orientamento, o almeno la certezza di un fondamento che gli eventi non possono incrinare. La religione rimane l'unico momento in cui sia possibile pensare passato, presente e futuro sotto una linea di continuità che non è più data dalla forma razionale, ma dalla speranza trascendente. Solo il divino può conciliare la libertà e la responsabilità morale. Non rinunciando mai alla sua libertà, don Gianni ci ha insegnato che l'affermazione dell'identità italiana è la condizione essenziale per governare le dinamiche sociali. Per questo la missione della politica è un nuovo modello di società che sappia guardare al governo della polis con una chiara progettualità che vinca le divisioni e si ponga come soluzione dei conflitti. Non a caso don Gianni predilige il libro dell'escatologia cristiana per eccellenza, l'Apocalisse, che ci mostra come Cristo sia presente nella storia e lotti contro potenze che sono mondane, ma che hanno dietro una strategia non mondana. È quello che Agostino ha espresso nel De Civitate Dei, in cui la storia è combattimento tra due città interiori e spirituali: la città in cui si ha l'amore di Dio sino al disprezzo di sé e la città degli uomini in cui avviene il contrario, l'amore di sé sino al disprezzo di Dio. Sandro Bondi |
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venerdì 11 settembre 2009
LIBERTÀ E IDENTITÀ
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