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giovedì 20 gennaio 2011

Il popolo non è bue

Gli anni passano, la storia va avanti, eppure i nodi che hanno «ingarbugliato» i fili del processo di crescita del nostro Paese, frutto dei retaggi ideologici del passato, riemergono non appena si profilano operazioni di cambiamento dellostatus quo che potrebbero destabilizzare equilibri precostituiti e minare diritti acquisiti. E così accade che, ogni qual volta si verifichi una spinta riformatrice volta a creare nuove opportunità di crescita e di sviluppo, si sollevino le grida e i proclami di coloro che, in nome di un passato che fu, non hanno alcuna intenzione di alzare bandiera bianca di fonte al proprio «orticello».
Di esempi in questo senso, in questi due anni e mezzo di legislatura, ce ne sono parecchi: il processo di privatizzazione di Alitalia, come sappiamo, scatenò un turbillon di proteste e ostruzionismi; in quell'occasione il Governo fu protagonista di un'operazione che pose finalmente fine ad una situazione che era stata ereditata dal passato, espressione di un sistema-Italia basato sullo sfruttamento di risorse pubbliche mediante l'indebitamento. In quell'occasione, furono molti i dipendenti che lottarono per difendere alcuni privilegi che avevano maturato e che erano slegati dal concetto di produttività.
La difesa dei diritti acquisiti, non legati al principio di merito, è stata oggetto, come sappiamo, anche delle battaglie di tanti docenti della scuola e dell'università, di tanti dipendenti delle amministrazioni pubbliche. In questi anni il Governo Berlusconi ha avviato un cambiamento culturale profondo, che si fonda su una politica che si propone di valorizzare la persona prima di tutto, di investire sul capitale umano come fonte di sviluppo del Sistema Paese. La ricchezza di una Nazione, infatti, dipende dalla capacità di ciascuno, lavorando per sé, di lavorare alimentando anche la crescita del prodotto comune, concorrendo così alla formazione sia dal capitale proprio che comune. E questo lo hanno capito anche la maggior parte dei dipendenti della Fiat.
In un contesto in cui, grazie alla politica del Governo, l'Italia, per far fronte alle sfide globali, ha deciso, pur tenendo ben saldo il principio della difesa della nostra identità, di imboccare la strada del cambiamento, vi è chi, con qualsiasi mezzo, vorrebbe «disarcionare» colui che è considerato il massimo responsabile della svolta politica che ha imboccato l'Italia dal '94 in poi. Di fronte ad una sinistra che, non avendo mai fatto i conti con il suo passato, si ritrova ora senza un'anima e un'identità, incapace di prendere posizione sui problemi che attanagliano la nostra società, ecco che, per sconfiggere Berlusconi, si allertano, ciclicamente, le Procure, secondo un copione le cui dinamiche, per gli «spettatori» italiani, sono ormai scontate.
E' dal biennio '92-'94, quando l'azione delle Procure si sostituì alla volontà del popolo, cancellando buona parte della classe politica, che, nei confronti di Berlusconi, assistiamo sempre al medesimo tentativo. Non sono bastate, in questi anni, le centinaia di perquisizioni e gli innumerevoli processi a cui è stato sottoposto, dai quali è sempre uscito pulito; non è bastata la sentenza della Consulta sul legittimo impedimento. Evidentemente, dopo il voto di fiducia del 14 dicembre, l'unica via per uscire dal vicolo cieco e ridare fiato a ipotesi di governi tecnici (la sola opportunità per i politicanti della Prima Repubblica di andare al potere) era quella extraparlamentare, ossia quella giudiziaria e a sfondo sessuale. Le ultime notizie pubblicate lunedì, giunte ai media prima ancora che, come previsto, le carte venissero messe a disposizione dei deputati della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, sostengono che Berlusconi gestirebbe addirittura un giro di prostituzione.
Che dire? Siamo alle solite. In nome dell'odio nei confronti di colui che ha sconfitto un approccio politico-culturale che faceva leva sul mantenimento dello status quo, vi è chi, secondo un'attitudine fortemente anti-italiana, non si fa alcun scrupolo a dare in pasto alla stampa internazionale accuse diffamanti, che non fanno altro che gettare fango sul nostro Paese. Il tutto, e questo provoca profonda amarezza, per salvaguardare il proprio «orticello» politico, per saziare i propri appetiti personali, che nulla hanno a che fare con il bene comune. Ma il popolo non è bue. 
di Aurora Franceschelli

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