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venerdì 22 ottobre 2010

Lodo Alfano: un tassello necessario per riformare la Giustizia

Gli assi portanti di un Paese a regime democratico, ossia i fondamenti che danno credibilità alle istituzioni, non sono solo quelli che ricevono, attraverso il voto, una legittimazione popolare: oltre ad organi rappresentativi quali il Parlamento e il Governo, che sono espressione diretta del potere legislativo ed esecutivo, il nostro ordinamento affida un ruolo cruciale, per la tutela dei cittadini e delle loro istanze, anche all'ordine giudiziario.

Se i cittadini, secondo il nostro sistema costituzionale, hanno la facoltà di eleggere e di riporre la loro fiducia in una rappresentanza politica che esprime poi un Governo, non si può dire la stessa cosa in merito agli organi giudiziari, che, avendo una composizione interna che non è di diretta emanazione popolare, dovrebbero cercare di guadagnarsi la fiducia almeno attraverso i fatti. Purtroppo, come sappiamo, ormai da decenni il nodo di una Giustizia lenta ed inefficiente, spesso incapace di salvaguardare il principio del giusto processo, si è ingigantito, sia a scapito dei cittadini, che spesso non si sentono garantiti nei loro diritti, sia ai danni del Sistema Paese, che vede le sue potenzialità economiche frenate da un ordine giudiziario che spaventa qualsiasi imprenditore straniero che intende investire nel Belpaese.

A destare preoccupazione, in Italia, non vi è solo la situazione desolante, in termini di cause civili e penali pendenti, che si è andata accumulando negli anni, ma anche il problema della tutela del complesso e precario equilibrio tra organi istituzionali, che, se, in base alla nostra Carta fondamentale dovrebbe essere garantito dal principio della divisione dei poteri, in realtà è stato spesso insidiato dal protagonismo di una minoranza di Toghe: alcune di esse, anche in passato, hanno messo ha rischio la stabilità democratica del Paese scatenando inchieste a orologeria, inchieste che, in contrasto con il sacrosanto caposaldo del garantismo, poi si sono trasformate in processi mediatici fondati sul principio della presunzione di colpevolezza.

Ed è proprio per ovviare a queste criticità che la maggioranza ha proposto di modificare la Costituzione per consentire di sospendere eventuali procedimenti giudiziari a carico dei presidenti della Repubblica e del Consiglio, ottenendo martedì l'ok in Commissione Affari costituzionali del Senato in merito all'emendamento del Pdl al lodo Alfano, che sancisce la retroattività delle norme contenute nel provvedimento per i processi che riguardano le due alte cariche. Tale norma costituzionale, che dovrebbe andare a sostituire la norma transitoria del legittimo impedimento, è stata elaborata sulla base delle necessità, espressa anche dalla Corte costituzionale, di salvaguardare la serenità dello svolgimento delle funzioni di alcune alte cariche, che potrebbe essere compromessa ove non venissero sospesi processi per fatti antecedenti all'assunzione della carica. Secondo la nuova normativa eventuali procedimenti a carico di Presidente della Repubblica e premier, su ipotesi di reati commessi prima del rispettivo mandato, potrebbero essere sospesi momentaneamente, con deliberazione parlamentare, per poi essere ripresi una volta cessato il loro statusistituzionale.

La Riforma della Giustizia, dunque, prenderà corpo anche sul piano costituzionale: l'obiettivo da una parte è quello di adattare la nostra Carta alle esigenze di efficienza di una democrazia compiuta e moderna e di un Sistema Paese che ha bisogno di essere più competitivo anche su questo fronte, dall'altra è quello di rimettere in perfetto equilibrio la bilancia della giustizia, salvaguardando i diritti dei cittadini e le loro scelte politiche, che non possono essere stravolte da una minoranza.

Come ha riferito il ministro Alfano, «la nostra riforma della giustizia non avrà nessuna istanza di ritorsione nei confronti della magistratura, come la sinistra pregiudizialmente afferma». Anzi, come egli ha tenuto a rimarcare, l'intento è proprio quello di rafforzare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, sia inquirente sia giudicante (slegandola da logiche corporative e da giochi correntizi), in un quadro di maggiore efficienza del sistema e di maggiore effettiva parità tra accusa e difesa. Non solo, la direzione che si vuole intraprendere è quella secondo la quale possa essere finalmente esercitata la giustizia disciplinare sui magistrati che sbagliano, anche perché, se è giusto che i poteri politici rispondano di fronte alla magistratura, è altrettanto corretto che anche i giudici siano responsabili degli errori che commettono nell'esercizio delle loro funzioni: in questo modo, così, verrebbe rafforzato il principio dei cheks and balances sui cui è fondato il nostro ordine istituzionale.

Aurora Franceschelli





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