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lunedì 18 gennaio 2010

PD SENZA CATTOLICI


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sabato 16 gennaio 2010

Proponiamo ai lettori di Ragionpolitica un intervento del coordinatore nazionale del Popolo della Libertà e ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, pubblicato su Il Giornale del 16 gennaio.

Prima la scissione di Francesco Rutelli, ora l'abbandono di Carra e Lusetti dimostrano il fallimento del progetto dell'Ulivo e del Pd come incontro e sintesi della tradizione comunista e di quella cattolico-democratica. L'origine di questo fallimento è di natura culturale. Il rapporto tra cattolici e comunisti è una costante della storia d'Italia, almeno dal dopoguerra in poi. Tutta la strategia dei comunisti italiani è stata impostata sul rapporto con i cattolici, in chiave di egemonia e di realizzazione di progetti di cambiamento sociale. Il compromesso storico è stato il punto di arrivo di questa strategia e la morte di Aldo Moro ha segnato il suggello e al tempo stesso la crisi di questa prospettiva. Nel corso di questi ultimi decenni, poi, le innumerevoli trasformazioni del Pci, dall'Ulivo di Prodi al Pd di Veltroni, hanno condotto la sinistra ad abbracciare l'ideologia del laicismo e dei diritti individuali come massima espressione della modernità.

La crisi del progetto dell'Ulivo avviene quando l'evoluzione della sinistra italiana approda non al riformismo socialista e ad un autentico incontro con la cultura cattolica e liberale, ma conduce ad una cultura radicale di massa, come aveva previsto lucidamente Augusto Del Noce. La candidatura di Emma Bonino nel Lazio è la conferma più emblematica e ostentata di questa saldatura fra la sinistra e il partito radicale, esibita proprio nel Lazio, cioè nel cuore della cattolicità. Era prevedibile che i cattolici democratici presenti nel Pd soffrissero di questa deriva radicale, oltre che dell'alleanza innaturale e sempre più imbarazzante con un movimento reazionario ed eversivo come quello dell'ex pubblico ministero di Milano.

A questo punto ci si deve chiedere che cosa si avvia a diventare il Pd privo della componente cattolico-democratica che, soprattutto con la leadership di Romano Prodi, ne sanciva l'originalità e la forza aggregante. Verosimilmente il Pd si avvia a diventare, con Bersani, un partito riformista, che però non ha ancora rotto tutti i ponti con la cultura e la mentalità comunista. I vertici del Pd, quasi tutti di provenienza comunista, vorrebbero divenire socialdemocratici, per la verità con qualche decennio di ritardo, senza tuttavia avere il coraggio, neppure oggi, di ammettere con chiarezza i meriti del riformismo socialista di Craxi e la violenta persecuzione gli fu inflitta da parte del Pci e di alcuni magistrati.

Gli attuali vertici del Pd sono alle prese, inoltre, con un proprio elettorato più incline ad ascoltare le grida di un esponente di destra come Di Pietro piuttosto che le voci più autorevoli che si levano al proprio interno a favore di un profilo riformista e di governo. Ciò è potuto avvenire perché non è mai stata ingaggiata a sinistra una vera lotta culturale contro le posizioni estremiste e la superba presunzione di ritenersi sempre dalla parte giusta e i migliori dal punto di vista morale.

Non c'è da invidiare Bersani, che si trova ad affrontare problemi giganteschi che derivano da una serie di errori compiuti nel passato e da dilemmi che nessuno ha mai avuto l'intelligenza e il coraggio di risolvere. D'Alema, che pure ha avuto il merito di sostenere la candidatura di Bersani, si muove costantemente nel solco di tatticismi di potere senza possedere quella lungimiranza politica che sarebbe necessaria per far nascere anche in Italia una sinistra moderna. Per questo sono convinto che sia necessario dare fiducia a Bersani. Se si rompe questo esile filo, tutto rischia di precipitare in una sorta di eterna coazione a ripetere della vita politica italiana. Noi del Pdl dobbiamo sapere, inoltre, che la stessa sopravvivenza dell'attuale bipolarismo dipende in larga misura dal successo del tentativo di Bersani di costruire un forte partito riformista. Se fallisce questa scommessa e fallisce il confronto fra i due poli dello schieramento politico, allora le chancedell'Udc di Casini di puntare alla dissoluzione di quel poco di bipolarismo che abbiamo finora costruito potrebbero aumentare.

Per queste ragioni la strada del dialogo non ha alternative. Così come, anche nel campo del centrodestra, non si può interrompere il difficile tentativo di dare vita a un grande partito dei moderati, membro autorevole della famiglia dei popolari europei. Anche per noi la sfida più ardua e impegnativa è quella di carattere culturale. Se saremo in grado di amalgamare tutte le tradizioni culturali che sono confluite nel Pdl in un progetto politico condiviso, allora la nostra impresa politica non soffrirà più delle lacerazioni e della contraddizioni che hanno minato alla base il progetto del Pd.


Sandro Bondi Coordinatore Nazionale PDL


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