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venerdì 22 gennaio 2010

PER UNA NUOVA GIUSTIZIA

Il disegno di legge che prevede la riduzione delle tempistiche bibliche dei processi italiani è finalmente stato approvato al Senato e ci si prepara per la lunga battaglia alla Camera dei Deputati. Solo fuori da ogni logica pregiudiziale ed esenti da qualunque ipoteca ideologica si può vedere la realtà che il disegno di legge sul «processo breve» rappresenta. In primo luogo è un piccolo passo verso l'adeguamento del sistema giudiziario italiano agli standards qualitativi delle democrazie occidentali in genere e degli altri Paesi europei in particolare.

C'é chi ancora avanza delle critiche verso quel movimento riformatore che la maggioranza degli italiani ha scelto e che è incarnato dalle intenzioni del Governo di procedere ad una revisione del sistema giurisdizionale italiano. Sono quegli stessi italiani che proprio nelle aule di giustizia civili, penali ed amministrative vengono irrimediabilmente impantanati a tempo indeterminato con sacrificio specioso dei loro interessi e dei loro diritti e dispendio stratosferico di risorse pubbliche.

Il disegno di legge sul «processo breve» incardina in sé tutte queste esigenze di carattere elettorale, giuridico, politico, sociale, economico. Come si può ritenere, del resto, che le cose vadano bene così come sono, se proprio in questi giorni Calogero Mannino ha concluso (si spera) le sue vicende giudiziarie dopo ben 17 anni (di cui quasi due di detenzione, illegittima ed ingiusta) con danni morali ed esistenziali incalcolabili e con la beffa che nessun tipo di sanzione, nemmeno di carattere disciplinare, toccherà quei magistrati che per due decenni lo hanno inchiodato in un limbo giuridico? Non è proprio in questi giorni che si è saputo dei venti amministratori politici di Subiaco assolti per le vicende presunte di tangentopoli dei primi anni '90, anch'essi dopo aver subito la fine coatta della carriera politica oltre che l'infamia e la sofferenza di alcuni mesi di detenzione? E ancora: le vicende dell'ex Presidente della regione Abruzzo Ottaviano del Turco, il quale dopo due lunghi anni non solo non è stato condannato come tutti avevano previsto, ma ha assistito ad un ribaltamento della situazione che ha visto la presunzione d'innocenza a suo carico trasformarsi in certezza, non sono anch'esse drammaticamente esemplificative di quanto sia urgente la riforma delle tempistiche processuali?

Come ha correttamente scritto Pierluigi Battista, giorno 20 gennaio sul Corriere della Sera, se è vero che la magistratura non deve usare riguardi e guanti di velluto contro la politica, è anche vero che non deve accanirsi in violazione del principio di terzietà e delle garanzie giuridiche previste sia dalla Costituzione che dai principi generali fondativi dello Stato di diritto. In secondo luogo si deve considerare il disegno di legge sul «processo breve» come il tassello di un più ricco mosaico che prevede anche la riforma delle intercettazioni, la riforma dell'avvocatura ed una maggiore tutela dei diritti della difesa che non si dilaterebbero nell'arco di uno o più decenni con una sorta di condanna preventiva all'indeterminatezza processuale; l'istituzione del tribunale di famiglia che da un lato eviterebbe l'affollamento nei tribunali di ulteriori contenziosi, e dall'altro consentirebbe alle parti in causa nelle liti famigliari una maggiore speditezza per la tutela ed il riconoscimento dei propri interessi e dei propri diritti ed, infine, perfino la riforma della normativa, spesso farraginosa ed ostativa ai fini che essa stessa si è prefissata, delle adozioni internazionali, praticamente impossibili oggi in Italia.

Insomma, il Governo si sta prodigando per ammodernare il sistema giurisdizionale italiano in termini più garantistici, di una maggiore efficienza, e di una più profonda efficacia, rivelandosi, forse, l'atto governativo maggiormente riformatore dell'intera storia repubblicana. Peccato che le forze dell'opposizione abbiano deciso di perdere l'occasione di partecipare alle riforme necessarie al Paese, preferendo arroccarsi sul conservatorismo delle loro torri d'avorio ideologiche. Ma forse, è per questo motivo che il Pd perde ben quattro punti percentuali di consenso come riportano gli ultimi sondaggi, e forse è per questo conservatorismo istituzionale (e spesso antigiuridico che l'Idv sembra guadagnare un punto percentuale. La mentalità garantista della maggioranza di Governo raccoglie consensi, ma ad essa si contrappone una lieve crescita della mentalità opposta mentre PD e UDC, restano al centro, a guardare la lotta tra la civiltà del diritto, esemplarmente incarnata dalla logica che sottende il disegno di legge sul «processo breve», e la barbarie giustizialista.

di Aldo Vitale





lunedì 18 gennaio 2010

PD SENZA CATTOLICI


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sabato 16 gennaio 2010

Proponiamo ai lettori di Ragionpolitica un intervento del coordinatore nazionale del Popolo della Libertà e ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi, pubblicato su Il Giornale del 16 gennaio.

Prima la scissione di Francesco Rutelli, ora l'abbandono di Carra e Lusetti dimostrano il fallimento del progetto dell'Ulivo e del Pd come incontro e sintesi della tradizione comunista e di quella cattolico-democratica. L'origine di questo fallimento è di natura culturale. Il rapporto tra cattolici e comunisti è una costante della storia d'Italia, almeno dal dopoguerra in poi. Tutta la strategia dei comunisti italiani è stata impostata sul rapporto con i cattolici, in chiave di egemonia e di realizzazione di progetti di cambiamento sociale. Il compromesso storico è stato il punto di arrivo di questa strategia e la morte di Aldo Moro ha segnato il suggello e al tempo stesso la crisi di questa prospettiva. Nel corso di questi ultimi decenni, poi, le innumerevoli trasformazioni del Pci, dall'Ulivo di Prodi al Pd di Veltroni, hanno condotto la sinistra ad abbracciare l'ideologia del laicismo e dei diritti individuali come massima espressione della modernità.

La crisi del progetto dell'Ulivo avviene quando l'evoluzione della sinistra italiana approda non al riformismo socialista e ad un autentico incontro con la cultura cattolica e liberale, ma conduce ad una cultura radicale di massa, come aveva previsto lucidamente Augusto Del Noce. La candidatura di Emma Bonino nel Lazio è la conferma più emblematica e ostentata di questa saldatura fra la sinistra e il partito radicale, esibita proprio nel Lazio, cioè nel cuore della cattolicità. Era prevedibile che i cattolici democratici presenti nel Pd soffrissero di questa deriva radicale, oltre che dell'alleanza innaturale e sempre più imbarazzante con un movimento reazionario ed eversivo come quello dell'ex pubblico ministero di Milano.

A questo punto ci si deve chiedere che cosa si avvia a diventare il Pd privo della componente cattolico-democratica che, soprattutto con la leadership di Romano Prodi, ne sanciva l'originalità e la forza aggregante. Verosimilmente il Pd si avvia a diventare, con Bersani, un partito riformista, che però non ha ancora rotto tutti i ponti con la cultura e la mentalità comunista. I vertici del Pd, quasi tutti di provenienza comunista, vorrebbero divenire socialdemocratici, per la verità con qualche decennio di ritardo, senza tuttavia avere il coraggio, neppure oggi, di ammettere con chiarezza i meriti del riformismo socialista di Craxi e la violenta persecuzione gli fu inflitta da parte del Pci e di alcuni magistrati.

Gli attuali vertici del Pd sono alle prese, inoltre, con un proprio elettorato più incline ad ascoltare le grida di un esponente di destra come Di Pietro piuttosto che le voci più autorevoli che si levano al proprio interno a favore di un profilo riformista e di governo. Ciò è potuto avvenire perché non è mai stata ingaggiata a sinistra una vera lotta culturale contro le posizioni estremiste e la superba presunzione di ritenersi sempre dalla parte giusta e i migliori dal punto di vista morale.

Non c'è da invidiare Bersani, che si trova ad affrontare problemi giganteschi che derivano da una serie di errori compiuti nel passato e da dilemmi che nessuno ha mai avuto l'intelligenza e il coraggio di risolvere. D'Alema, che pure ha avuto il merito di sostenere la candidatura di Bersani, si muove costantemente nel solco di tatticismi di potere senza possedere quella lungimiranza politica che sarebbe necessaria per far nascere anche in Italia una sinistra moderna. Per questo sono convinto che sia necessario dare fiducia a Bersani. Se si rompe questo esile filo, tutto rischia di precipitare in una sorta di eterna coazione a ripetere della vita politica italiana. Noi del Pdl dobbiamo sapere, inoltre, che la stessa sopravvivenza dell'attuale bipolarismo dipende in larga misura dal successo del tentativo di Bersani di costruire un forte partito riformista. Se fallisce questa scommessa e fallisce il confronto fra i due poli dello schieramento politico, allora le chancedell'Udc di Casini di puntare alla dissoluzione di quel poco di bipolarismo che abbiamo finora costruito potrebbero aumentare.

Per queste ragioni la strada del dialogo non ha alternative. Così come, anche nel campo del centrodestra, non si può interrompere il difficile tentativo di dare vita a un grande partito dei moderati, membro autorevole della famiglia dei popolari europei. Anche per noi la sfida più ardua e impegnativa è quella di carattere culturale. Se saremo in grado di amalgamare tutte le tradizioni culturali che sono confluite nel Pdl in un progetto politico condiviso, allora la nostra impresa politica non soffrirà più delle lacerazioni e della contraddizioni che hanno minato alla base il progetto del Pd.


Sandro Bondi Coordinatore Nazionale PDL