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lunedì 8 marzo 2010

LA TUTELA DEL DIRITTO DI VOTO

La nostra Costituzione, così strenuamente difesa da tutto l'arco politico e addirittura ridotta a feticcio da parte di taluni esponenti del medesimo, attribuisce con chiarezza cristallina diritti politici attivi e passivi ai cittadini. Diritti imprescindibili, in quanto determinanti per il funzionamento corretto e legittimo della nostra democrazia. L'interpretazione autentica e la conseguente corretta applicazione dei principi costituzionali inerenti al diritto di voto non lasciano spazio a dubbi: il diritto di voto è garantito a tutela dei cittadini, non di una metafisica entità statale che ne concede la fruizione. Siamo una Repubblica parlamentare, non una monarchia più o meno illuminata nella quale al re abbiamo sostituito il testo costituzionale con annessi e connessi: è la Costituzione al servizio del cittadino, non il contrario.

Il dilemma - che forse poi tale non è a ben guardare - che pone l'attuale situazione di Lazio e Lombardia riguardo alle imminenti elezioni regionali è il seguente: criteri rigidamente formali inerenti all'ammissibilità di due liste possono prevalere e, di fatto, inficiare completamente un diritto soggettivo costituzionalmente garantito? Assodato che l'esatto svolgimento degli eventi nonché la reale entità delle mancanze formali che hanno generato la sconfortante situazione non è ancora ben chiara, tanto è vero che è ancora al vaglio degli organi competenti, è ammissibile che un governo si renda omissivamente responsabile di un gravissimo pregiudizio alla libertà del cittadino? No. Non in uno Stato realmente democratico. Non in uno Stato che ha realmente a cuore gli interessi non di un candidato, di una lista o di uno specifico schieramento politico, bensì di un diritto politico che, qualora non venisse tutelato, si ridurrebbe a semplice «diritto di carta»: un non-diritto, privo di qualunque consistenza, privo di qualunque efficacia.

Qualcuno potrebbe obbiettare che un approccio al problema di questo tipo, basato sulla prevalenza del diritto sostanziale sul «diritto formale», chiamiamolo così per semplicità, denoterebbe un'aderenza eccessiva al giusnaturalismo, che, purtroppo, poco o punto spazio trova in un sistema come il nostro, ancorato alla civil law. Allo stesso modo, poiché da lungo tempo abbiamo superato le rigide pregiudiziali giuspositiviste, le quali imponevano graniticamente la prevalenza dello ius positum, anche a scapito dell'elementare buon senso (giuridicamente inteso), fino a teorizzare, con Hans Kelsen, la legittimità dello «Stato di banditi» (dai nazisti in su, per capirci...), oggi dovremmo chiederci, in tutta serenità, quale legittimità avrebbe una amministrazione regionale che non sia figlia del confronto apertamente democratico.

Pregiudicare il diritto di milioni di italiani che di fatto si troverebbero di fronte ad elezioni con le urne preventivamente riempite in quanto impossibilitati ad esprimere una preferenza per un blando intoppo procedurale, in quale astruso modo può essere considerato esercizio di democrazia o, più algidamente parlando, rispetto della legge? Come potremmo ancora parlare di «rappresentatività»? Quanto varrebbe in un contesto di tal fatta il «mandato popolare»?

E' legittimo pensare che ponderazioni di questo genere, volte a preservare non solo l'aderenza pedissequa alla legge, ma, attraverso la corretta interpretazione della medesima, anche a tenere conto di imprescindibili considerazioni teleologiche, abbiano determinato la decisione del presidente della Repubblica di firmare un decreto che non è legittimo, in alcun modo, chiamare «salva lista». Al limite «salva democrazia». Un decreto che sancisce in una qualche misura la differenza tra una democrazia formale ed una sostanziale.

Francesco Natale


«Così ci è stato impedito di presentare i documenti»



Proponiamo ai nostri visitors la relazione, pubblicata sul Giornale di giovedì 5 marzo, che i vertici del Pdl del Lazio hanno presentato per chiedere l'ammissione del partito alle consuiltazioni regionali. Il testo, scritto dal coordinatore regionale Vincenzo Piso, dal vicecoordinatore Alfredo Pallone e dal coordinatore cittadino di Roma Gianni Sammarco, ripercorre cronologicamente la giornata di presentazione delle liste presso il Tribunale incaricato, conclusasi con l'esclusione dalla competizione elettorale del Popolo della Libertà.

Nella giornata di sabato 27 febbraio 2010, intorno alle 11.25 i nostri delegati di lista, (sig. Giorgio Polesi e sig. Alfredo Milioni) così come certificato dalla registrazione del sig. Giorgio Polesi, entravano nel Tribunale di Piazzale Clodio per consegnare agli uffici preposti, la documentazione e la connessa lista provinciale di Roma del Pdl, per le elezioni regionali del Lazio.

2. Giunti in prossimità degli uffici competenti, le forze dell'ordine comunicavano ai sovrammenzionati delegati, la possibilità di stare all'interno dell'area adibita alla consegna delle liste nel numero di uno per volta onde evitare assembramenti.

3. Intorno alle 12.20 un componente della commissione uscito dagli uffici ha chiesto quante liste erano ancora in fila per essere consegnate. A questa domanda il nostro delegato ha risposto alzando la mano insieme ad altri tre delegati.

4. Intorno alle 12.35 Milioni si è avvicinato a Polesi per dargli il cambio all'interno dell'area nella quale stazionavano i delegati delle liste e a quel punto alcuni di questi urlando ed invocando non meglio precisati brogli, creavano un forte clima di tensione e confusione.

5. A seguito del parapiglia i nostri due rappresentanti, Polesi e Milioni, venivano a trovarsi, per pochi minuti, al di fuori dell'area che solo dopo, verrà circoscritta e indicata come di attesa liste. Il tutto comportando uno spostamento di 5 massimo 10 metri e per pochi minuti in ambiente circostante.

6. Questo caos determinava l'intervento del presidente della Commissione elettorale, il quale dava indicazione alle forze dell'ordine di bloccare l'accesso a chiunque. Nel contempo alcune persone, rappresentanti di liste contrapposte politicamente al Pdl, si sdraiavano per terra mettendo in atto una serie di comportamenti atti a determinare, per i nostri rappresentanti, l'impossibilità a ritornare all'interno dell'area ora delimitata dalle forze di polizia e, quindi, di ricongiungersi alla documentazione ivi lasciata all'interno di uno scatolone visibile a tutti.

7. Documentazione rimasta nel suo originale posizionamento sotto la visione delle forze dell'ordine che ivi stazionavano e che nella serata di sabato è stata recuperata, sigillata e consegnata al Comando dei Carabinieri del Tribunale di Piazzale Clodio.

8. I delegati della lista provinciale, Polesi e Milioni, sono storicamente le persone preposte alla consegna delle liste ex An e Forza Italia.

9. Gli uffici preposti all'accettazione delle liste risultano fortemente inadempienti sia nell'organizzazione del lavoro, sia per quanto attiene la logistica, rendendo così impossibile la definizione dell'arrivo delle liste con relativa tempistica ed il perimetro dell'area dove dalle 12 non si sarebbe più teoricamente potuti entrare.

Riassumendo:

1. I nostri delegati arrivano alle 11.30, ovvero in tempo utile.

2. I due delegati svolgono questo lavoro da sempre per ex Forza Italia ed ex An (Milioni è il presidente del XIX municipio).

3. In fila si poteva stare solo uno per volta.

4. Era impossibile tecnicamente cambiare nomi sulla lista perché avrebbe comportato la modifica di 248 fogli relativi alla raccolta delle firme.

5. L'area recepimento liste viene delimitata dopo le ore 12.40 solo quando, sentiti i tafferugli, esce il presidente della Commissione elettorale, senza verificare chi era già in fila e senza preoccuparsi della presenza dello scatolone con la documentazione del Pdl presente nell'area recepimento liste.

6. Il cancelliere e il magistrato si sono rifiutati di prendere la documentazione nonostante l'obbligo di legge.


V. Piso, A. Pallone, G. Sammarco


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