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giovedì 29 ottobre 2009
mercoledì 28 ottobre 2009
Consiglio Comunale per il 29 ottobre alle ore 17,00
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
VISTA la richiesta del sindaco n. prot 25666 del 28.10.2009;
SENTITA
VISTO il regolamento per il funzionamento del Consiglio Comunale;
VISTO lo Statuto Comunale;
CONVOCA
il Consiglio Comunale di Gioia del Colle in seduta straordinaria e urgente di 1^ convocazione per il giorno 29 OTTOBRE alle ore 17,00 nella sala consiliare di palazzo San Domenico, per la trattazione del seguente argomento:
SEDUTA PUBBLICA
1) Variazione piano triennale delle opere pubbliche 2009-2011 approvato con delibera C.C. n. 16 del 25.3.2009. Variazione di bilancio.
Il Presidente del Consiglio
Avv. Filippo Gianfranco Tisci
domenica 25 ottobre 2009
venerdì 9 ottobre 2009
MENO MALE CHE SILVIO C'È
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giovedì 08 ottobre 2009 | ||
La democrazia è uno strumento di libertà che va sempre difeso. Ne ebbero coscienza i Padri costituenti quando scrissero nella Carta che è il popolo ad essere sovrano. E la sua volontà si esprime attraverso il consenso elettorale che legittima il governo di chi ha raccolto i maggiori consensi per governare l'Italia. Questo principio cardine della nostra Costituzione è stato spesso messo a rischio in questi ultimi anni dopo il crollo della Prima Repubblica. In quel periodo il potere giudiziario si impose sulla politica attraverso Tangentopoli, spazzando via i partiti democratici del cosiddetto Pentapartito, facendo leva sul fatto che in quella circostanza storica il popolo non si riconosceva più nelle formazioni politiche che avevano governato negli anni della Prima Repubblica. Da quel momento in poi le Toghe influenzarono l'agenda politica del nostro Paese. Una parte politicizzata della Magistratura fece dell'avviso di garanzia a mezzo stampa lo strumento politico di screditamento di chi aveva colmato un vuoto e si era fatto interprete, con la sua scesa in campo, delle istanze del popolo moderato che non si riconosceva nella sinistra postcomunista: l'unica a sopravvivere indenne a Tangentopoli. Quell'uomo è Silvio Berlusconi, l'imprenditore che nel 1994 esordì nell'agone della politica con la frase «amo l'Italia» e che d'allora ha dedicato la sua vita all'affermazione della libertà nel nostro Paese contro quelle élites che con la sinistra ancora oggi occupano i gangli dello Stato e buona parte dei media e che intendevano governare il Paese secondo il proprio diktact ideologico, plasmando il bene comune secondo il proprio interesse politico ed economico. Non si potrà di certo dimenticare l'eclatante avviso di garanzia che Silvio Berlusconi ricevette a Napoli di fronte a molti capi di Stato nel corso della conferenza mondiale sulla criminalità. Processo che dichiarò, poi, l'innocenza del Presidente del Consiglio. Come sono ancora vivi in noi i ricordi delle innumerevoli perquisizioni alle aziende di proprietà del premier che hanno fatto di Berlusconi un cittadino meno uguale rispetto al resto della popolazione, poiché non si è mai registrato un accanimento giudiziario così abnorme nei confronti di una sola persona. Anche la sentenza civile del Lodo Mondadori ci dimostra, ancora una volta, che sono sotto attacco anche le sue proprietà. Attraverso l'accanimento giudiziario e il gossip estivo, volto a screditare la dimensione privata del premier che i tanti Majacovskij senza Rivoluzione hanno sbandierato attraverso i media, Silvio Berlusconi è stato sottoposto a continui attacchi, mirati a ledere il consenso che si raccoglie intorno alla sua persona. Ma i sondaggi dimostrano il contrario. Il popolo libero e moderato che lo ha scelto con larga maggioranza nelle elezioni del 2008 come guida del nostro Paese, ad oggi, ha incrementato la fiducia nei suoi confronti. Ed il Lodo Alfano nasceva proprio con il proposito di rispettare la volontà degli elettori offrendo una pausa all'azione giudiziara senza possibilità di prescrizione ma separando, semplicemente, il tempo dell'opera di governo da quello di difesa del cittadino Berlusconi. I presupposti di costituzionalità vi erano tutti. Sulla traccia del Lodo Schifani il Governo ha apportato le modifiche che la stessa Corte Costituzionale aveva allora richiesto. Anche lo stesso Presidente della Repubblica diede il benestare e firmò la legge ordinaria che porta il nome dell'attuale ministro della Giustizia, confermando che essa era conforme anche a ciò che aveva detto la Corte costituzionale. Ma, mercoledì 7 ottobre, i giudici supremi hanno respinto il Lodo Alfano per incostituzionalità. Da quanto si apprende dallo stringato comunicato rilasciato dalla Corte costituzionale il no alla sospensione dei processi penali per le quattro massime Cariche dello Stato si basa sulla non conformità all'articolo 3 della Costituzione, che sancisce l'uguaglianza dei cittadini rispetto alla legge, ed all'articolo 138, che indica la procedura di revisione della Carta costituzionale attraverso l'iter parlamentare, con la doppia lettura da parte delle due Camere a distanza di almeno tre mesi e con la seconda lettura a maggioranza assoluta. La sentenza della Corte è perentoria ed impedisce la possibilità di poter ripresentare leggi alternative attraverso il percorso legislativo ordinario. Essa si è espressa in maniera opposta rispetto a quando si pronunciò in merito al lodo Schifani. Perché, allora, si è interessato il Parlamento ad esprimere una legge ordinaria, quando, secondo la sentenza di questo mercoledì, si sarebbe dovuto imboccare l'iter costituzionale, considerato il fatto che il lodo Schifani avvenne con legge ordinaria? Ed, inoltre, è giusto che le quattro Cariche dello Stato che ricoprono un ruolo centrale nell'assetto istituzionale dello Stato abbiano lo stesso trattamento di un cittadino comune che non ha le stesse responsabilità? Sono quesiti che nascono dal buon senso e che, evidentemente, i giudici supremi hanno ritenuto che non fossero determinanti. Questa sentenza, quindi, riapre la stagione del conflitto tra potere giudiziario e quello esecutivo. Ed in un contesto in cui il Paese sta fronteggiando i venti nefasti di una crisi economica internazionale più grave di quella del '29, in un periodo in cui il nostro Sistema-Italia compete sempre più con le economie del mondo, l'accanimento giudiziario da parte di una minoranza ideologizzata della Magistratura è ancora il nodo centrale da sciogliere per la vita democratica del nostro Paese. Potremmo aspettarci ancora avvisi di garanzia come quello di Napoli che si risolsero in un nulla di fatto, confutati dall'innocenza del Premier? I Padri costituenti inserirono l'immunità parlamentare per far sì che la politica non fosse sotto lo scacco della Giustizia, poiché la democrazia si afferma con il consenso popolare e non attraverso uno Stato giustizialista. Con il lodo Alfano si intendeva, semplicemente, offrire una pausa all'azione giudiziara, che non significa immunità. Oggi la forza dell'impegno politico del Premier è l'unico mezzo che può offrire all'Italia un futuro in cui la sovranità del popolo abbia un peso reale. Meno male che Silvio c'è.
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lunedì 5 ottobre 2009
I MEDIA E LA REALTÀ DISTORTA
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