Roma, 26 maggio 2010
Questa manovra non è la tradizionale operazione di aggiustamento dei
conti pubblici. Si inquadra nella crisi dell’euro scatenata dalla
speculazione e ha come obiettivo una riduzione del peso dello Stato
nell’economia e nella società.
Questa crisi provocata dalla speculazione è diversa da tutte le
precedenti. Non è una crisi, come quella del 2008-2009, provocata
dalla bolla immobiliare, che il governo ha saputo superare con risultati
riconosciuti da tutti.
E’ una situazione senza precedenti in tutti i Paesi europei che tutti
hanno vissuto sopra le loro possibilità.
Parlare, come fanno alcuni, di pessimismo contro ottimismo significa
non avere capito nulla.
Basta con uno Stato da socialismo reale.
Oggi in Italia abbiamo uno Stato che intermedia più del 50% della
ricchezza prodotta ogni anno dai suoi cittadini e dalle sue imprese. Un
costo non più sostenibile. Ed una spesa pubblica così ingente,
capillare e scarsamente responsabilizzata è fatalmente soggetta a
pessime gestioni e malversazioni. Ne portano la responsabilità sia i
“governi consociativi” della prima Repubblica, che negli Anni Ottanta
hanno moltiplicato per otto il debito pubblico, sia il governo della
sinistra che poco più di dieci anni fa, con soli quattro voti di scarto, ha
modificato il Titolo quinto della Costituzione e attribuito alle Regioni
un potere di spesa nella sanità sganciato da ogni vincolo di
responsabilità.
Una riforma costituzionale che si è rivelata dissennata, il contrario del
federalismo fiscale che noi vogliamo attuare, una riforma che ha fatto
esplodere la spesa sanitaria, soprattutto in molte Regioni del Centro
Sud.
La migliore ricetta contro le spese eccesive e la corruzione è la
riduzione della spesa pubblica e quindi dell’intervento dello Stato
nell’economia. Sono questi gli obbiettivi che intendiamo raggiungere.
Lo faremo con provvedimenti equilibrati e inevitabili. Equilibrati
perché si chiede di più a chi ha di più o ha evaso di più. Inevitabili
perché da anni l’Italia, come tutti i Paesi della vecchia Europa, sta
vivendo al di sopra delle proprie risorse.
Welfare: svolta epocale.
Il secolo scorso è stato caratterizzato in Europa dall’aumento del ruolo
dello Stato nella vita dell’economia e dei singoli individui. Come si
diceva ai tempi di Lord Beveridge, lo Stato aveva il compito di
accompagnare ogni persona dalla culla fino alla tomba. Il principio era
giusto in sé. Ma in questo modo in Italia è cresciuta in maniera
incontrollata la spesa sociale che all’inizio era effettivamente destinata
a sostenere i ceti più bisognosi, ma poi si è trasformata in una spesa
assistenziale.
Questo sistema irresponsabile ha funzionato finché era possibile
ricorrere alla svalutazione della moneta e finché si è potuto ricorrere
all’aumento delle tasse.
Con l’euro e dopo la recente crisi internazionale questi due strumenti
(svalutazione e aumento delle tasse) sono diventati inservibili, perché
la crisi impone a tutti i Paesi di ridurre il debito pubblico.
I numeri della manovra.
La speculazione ha ora posto nel mirino i debiti sovrani degli Stati.
Vale a dire la stabilità dei nostri Bot e Btp: assieme alla casa, al
risparmio ed al patrimonio delle nostre famiglie. Per questo, così
come un anno fa abbiamo messo in sicurezza i depositi dei
risparmiatori ed imposto un tetto ai mutui, ora abbiamo deciso di
intervenire per riportare il rapporto deficit-Pil dal 5% di adesso al 2,7
nel 2012.
Dunque abbiamo varato un aggiustamento da 12 miliardi l’anno, 24
per i due anni, che punta essenzialmente sulla riduzione della spesa
pubblica e sulla lotta all’evasione fiscale.
Voglio però sottolineare che non abbiamo aumentato le tasse, perché
il nostro obbiettivo resta sempre quello di ridurle.
Le manovre degli altri Paesi: i numeri.
La Grecia si è per ora salvata con una manovra di 30 miliardi in tre
anni, circa 12-13 punti del pil greco. La Spagna ne ha decisa una da
50 miliardi alla quale si è aggiunto un supplemento di 15 miliardi. La
Francia una da 100 miliardi di euro in tre anni. La Germania taglierà
10 miliardi da qui al 2016; in totale 60 miliardi.
L’aggiustamento di bilancio dell’Italia è minore perché il governo ha
bene operato in questi due anni.
Dobbiamo tagliare le spese eccessive per salvare ciò che abbiamo di
buono e ci viene invidiato:
abbiamo un sistema pensionistico che garantisce il massimo di
copertura con l’equilibrio contabile;
abbiamo la sanità per tutti, nonostante gli sprechi;
abbiamo gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro, tutela
che noi abbiamo esteso per la prima volta anche agli autonomi;
infine, grazie a tutto questo e grazie al nostro governo, a
imprese e banche solide, abbiamo il tasso di disoccupazione più
basso rispetto alla media europea.
I dipendenti pubblici.
Con la manovra chiediamo un atto di responsabilità ai nostri
dipendenti pubblici, per alcune ragioni. In primo luogo perché negli
scorsi anni i loro redditi sono aumentati più di quelli dei dipendenti
privati: 42,5 per cento in dieci anni le retribuzioni pubbliche, rispetto
al 24,8 per cento dei privati (fonte: Corte dei Conti). Poi perché i
dipendenti pubblici godono del vantaggio della garanzia del posto di
lavoro, non possono essere licenziati per chiusura dell’attività e non
rischiano di andare in cassa integrazione né di vedersi ridurre lo
stipendio come i privati. E dunque ai dipendenti dello Stato spetta una
particolare responsabilità per il risanamento dello stesso Stato.
Pensioni
Le pensioni sono tutelate e garantite: chiediamo solo a chi si accinge
ad andare in pensione di lavorare qualche mese in più.
Enti locali: sacrifici e federalismo.
Chiediamo a Regioni, Province e Comuni di ridurre le spese meno
produttive, e ce ne sono ancora tante. Ma in cambio daremo loro i beni
demaniali da valorizzare, che potranno generare notevoli risorse. Così
il federalismo fa un sostanziale passo avanti.
Lotta all’evasione e al sommerso.
Il nostro governo ha già avviato un forte contrasto all’evasione fiscale.
Rispetto ai 6,4 miliardi di euro recuperati nel 2007, siamo saliti a 6,9
miliardi nel 2008 e a 9,1 miliardi nel 2009.
Nel 2009 gli accertamenti fiscali sono stati 711.932, e le maggiori
imposte accertate hanno riguardato 26.338 casi: più 30 per cento.
L’evasione stimata nei giorni scorsi è pari a un mancato introito di
120 miliardi di euro. E’ la conferma di quanto andiamo dicendo da
tempo: l’economia sommersa dell’Italia è pari al 22,2 per cento del
pil, seconda in Europa solo alla Grecia. Poiché l’imponibile evaso
dall’economia sommersa è di 270 miliardi, il mancato introito fiscale
– secondo l’Agenzia delle entrate - è pari a poco più di un terzo: 100
miliardi. In alcune Regioni del Sud l’evasione raggiunge poi
percentuali inaccettabili: 85 per cento in Calabria, 63 in Sicilia, 55 in
Campania, contro il 12 per cento della Lombardia, il 19 dell’Emilia-
Romagna e il 19,6 del Veneto.
I controlli introdotti con la manovra sono la prima medicina a questo
malcostume. Con il federalismo fiscale potremo porre un rimedio
ancora più efficace a questa autentica “diserzione” fiscale,
coinvolgendo i Comuni nell’accertamento dei redditi.
Una “manovra europea” che salva l’Italia.
Il Governo ha varato una manovra a cui siamo tenuti dagli impegni
assunti con l’Unione europea. L’Europa, di cui siamo tra i fondatori, è
la nostra casa, la nostra patria: lo è oggi e lo sarà sempre più. La
nostra è una manovra europea, in linea con quanto stanno facendo altri
Paesi come Francia, Germania e Gran Bretagna.
I sacrifici richiesti sono indispensabili per difendere l’euro: cioè i
salari, le pensioni, i risparmi delle famiglie e i ricavi delle imprese.
Difendere l’euro oggi significa salvare il futuro dell’Italia, il benessere
di 60 milioni di donne e uomini, e di oltre 5 milioni di imprese.
Poiché la sfida è questa, tra Governo, imprese e forze sociali non c’è
alcuna diversità di obbiettivi. Come non ce ne deve essere, spero, tra
noi e l’opposizione, e ringrazio il Presidente Napolitano per
l’esortazione al senso di responsabilità e all’unità, che faccio mia.
Siamo tutti nella stessa barca, che andrà avanti e supererà anche
questa difficile situazione.
Da inguaribile ottimista, sono convinto che ce la faremo anche questa
volta.